Il ciclismo letterale

E’ stato per noi lo spaesamento letterario perfetto – estatico estivo parolenelvento ventodipassioni – per eccellenza, il ciclismo.

Abbiamo scelto di andare in bici, andando così in tutto l’ universo che abbiamo intuito alzando gli occhi da terra, a pedali.

Perchè il mondo conosciuto, o che valeva la pena conoscere, per noi, noi che venivamo dalla Provincia, anzi dalla campagna, e che non amavamo nè mai

avremmo particolarmente amato

la Città, è stato solo il mondo a pedali.

Un sentiero di campagna, gramigna ed edere, un ponte di legno claudicante

a valicare una via vecchia di rovi, Carano il paesino, le rotelle della bici rossa

appena rimosse, – il ‘vaiiii’ di un genitore – , era la fuga nostra, lo spaesamento,

primo ed ultimo. Non esisteva mica l’ asfalto, ma come destinazione c’era solo

uno stradone bianco. C’era un treno che arrivava, in fondo, giù

alla Stazione di Sessa Aurunca-Roccamonfina, ed una corriera sbuffante,

azzuuro scuro. L’ autobus di Petteruti.

Il mondo a pedali, da quando, sessanta anni fa, abbiamo imparato a leggere,

sforzando gli occhi quasi oltre il cuore, e che la norma – la ‘contrainte’ come

insegna in questo Convegno il maestro di cultura e ciclismo Paul Fournel, lui

che ad Anquetil ed a Blondin dava il ‘tu’ – da correggere era (nella vita) il nostro

nome di battesimo: e semmai l’ ordine di arrivo di una giornata di corsa sulle Alpi.

Ci saremmo chiamato ir/regolarmente in altro modo. ‘Mi chiamo Paolo, ma se vuoi

puoi chiamarmi anche Pasquale, come il mio ciclista preferito…’, dichiaravo

con uno spirito avventuroso di chi aveva appena lasciato Tremal-naik e

Sandokan ad una ragazzina sulla spiaggia di Lucrino, nel ’55, E già, saremmo stati

Pasquale Fornara, da esordiente nella vita, distinto e gentile, – Fornara, un

ciclista da Borgomanero, dov’è Borgomanero ? -, e poi Andrè Le Dissez,

francese solitario ed arcano, da adolescente, vinse a Clermont Ferrand,

andò in fuga in un ‘Lombardia’ al congedo, do you remember ?, ed alfine avremmo

indossato l’ aplomb di Gerben Karstens, un olandese borghese, che interpretava

bene per noi l’ ironia costituita sull’ ordine delle cose e della vita…Eroe negativo,

lui e quel doping d’ antan, e noi astrologi perduti negli occhi di una donna,

scrittore da giovane.

Dissociazione del Personaggio. O diventare forse, grazie alla bicicletta ed al ciclismo,

quello che non riuscivamo a dimostrare fino in fondo di essere.

Spaesamento letterario di stagioni dove il repertorio del ciclismo, anzi gli

elenchi dei Ciclisti partenti ad ogni corsa erano, se non una melodia, almeno

un ritornello. Per vero non un salmo, nè un elenco telefonico.  Senza vergogna

vi riferiamo che uno dei primi ricordi che abbiamo – non riusciamo ancora

a sorriderne – è quello di esserci addormentati una sera, da bimbo,

sillabando come un vocalizzo il nome di Vaucher, un ciclista svizzero. Come dicessi

‘mamma’, o ‘papà’. (Non ridete neppure voi, per cortesia).

Molto lontani dalle ispirazioni ciclistiche remote di Pascoli e Gozzano, e

neanche vicini al futurismo di Alfred Jarry, che aveva un berrettino con su

scritto, per riconoscimento, ‘Cycliste’, certo affini a Buzzati ed al suo straniamento sentimentale, pure quando narrava ciclismo, abbiamo versato le lacrime

più calde sul Bondone, era il Giro del ’56, perchè nella neve di quel giorno – ce lo raccontava

una radio grigia, ed un giornalista napoletano tanto amato, Franco Scandone –

Pasquale, o ‘Pasqualino’, Fornara perdeva la maglia rosa. Diventava bianco,

primo grande dolore, senza regola di pudore, il passero intirizzito Gaul

un nemico, il cuore. Non avrebbe più ripreso il suo colore. Salvo, ad ogni

maggio, il rosa.

 Gian Paolo PORRECA